FX Rougeot è francese. Fa il giornalista ed è un apprezzato fotografo. Gira il mondo da un playground all’altro, scatta immagini, ascolta e racconta storie con un denominatore comune: il basket. Ha pure vissuto qualche anno all’estero, come corrispondente. Mica in un postaccio, però: nei Caraibi, in Guadalupa. Sì, ora potete cominciare a invidiarlo.

Ma ogni passione, per crescere bene, richiede di essere innaffiata con dedizione, sacrificio e possibilmente qualche aiuto. Tre anni fa FX lanciava una campagna di crowdfunding e in breve tempo raccoglieva i fondi necessari; sfruttò la reputazione maturata scrivendo online di pallacanestro e musica reggae, altri benefattori li catturò con un progetto ambizioso.

United Ballers nasce l’8 gennaio del 2014 ed è un contenitore ecumenico dedicato a tutto ciò che si muove intorno a una palla a spicchi, per i quattro angoli del globo. La sua home page raffigura le terre emerse come fossero la superficie in cuoio di uno Spalding, punteggiata dalle tappe di un viaggio che non si ferma mai. Alcune mete FX le ha visitate per lavoro, altre le ha raggiunte di sua iniziativa. Tra gli obiettivi che si era prefissato mancano ancora Buenos Aires, Melbourne e Istanbul, ma nel frattempo la mappa si è allargata agli Stati Uniti, dalla East Coast alla West Coast, al Giappone, all’Africa più profonda.

Mentre scrivo mi racconta che è appena tornato dal Senegal, mentre il mese scorso è stato nelle Filippine; com’è noto, a quelle latitudini respirano basket – il reportage promette d’essere scoppiettante e sulla pagina Facebook c’è già un assaggio.

Francette Winston vive in Guadalupa e gioca nel campetto che fu di Mickael Gelabale. Ha 39 anni, due figli, e una passione maniacale per la pallacanestro. Gioca da una vita e giura che non smetterà mai di farlo. Gioca di cuore e di testa, non ha mai avuto nessuno che le insegnasse la tecnica; il figlio Luidgy, però, tira esattamente come lei

United Ballers è un inno colorato alla vita nomade, a un altrove che nei sogni di chi gioca a basket spesso si materializza in un canestro. Come Efthimis, uno degli incontri che hanno un posto speciale nei ricordi di FX. Dalla piccola provincia si era trasferito a Atene, ma non gli bastava. Voleva andare in America a studiare. “Gioco a basket da una vita, man!”, gli spiegò sorridendo quando gli chiese delle sue passioni. Ma con la pallacanestro non ce l’avrebbe fatta ad emigrare, non dopo essersi infortunato sei volte alla caviglia sinistra e una, per giusta misura, alla destra. In attesa di spostarsi oltreoceano, dove stanno il suo cuore e la sua musica hip hop, si fa chiamare Tim dagli amici e fa presenza fissa al playground di Ambelòkipi: ce ne sono di più vicini a casa sua, ma lì ormai è una personalità. Stravede per l’Olympiakos e per Spanoulis, ma se gli chiedi del rivale Diamantidis non riesce a fare finta di odiarlo.

Per FX questo è il più puro momento di pallacanestro di tutti i suoi viaggi. Aboubacar Ba, per gli amici Reggie come Reggie Miller, che si allena sul playground scolorito di una base militare, il blu del cielo di Dakar sullo sfondo. Pochi minuti dopo si dovrà fermare, piegato dal sole del pomeriggio e dal digiuno imposto dal ramadan

Sabina, invece, come molti africani in viaggio si è messa per davvero. FX la incontra a Lione ma lei viene dal Ruanda. Si allena da sola al campetto e lui si apposta a scattarle una foto dietro l’altra, mentre ascolta la sua storia. Lo zio era il centro della nazionale locale, 195 centimetri da lottatore nel pitturato; le ha trasferito la sua passione e soprattutto l’animo combattivo. Quando arriva altra gente e prende vita un pick-up game, FX continua a osservare dalla lente del suo obiettivo. Sabine tira poco ma è un diavolo in difesa, si tuffa sull’asfalto per recuperare i palloni vaganti. Quando si rialza sfoggia sempre un gran sorriso sul volto. Mostra la stessa energia, sia che giochi nel playground sotto casa coi pantaloncini in jeans, sia che giochi con la maglia del Ruanda come lo zio. Il suo amore per il basket è il suo amore per la vita. “Le risque, c’est de ne pas faire” è il motto che gli confida prima di salutarlo. Il vero rischio è non fare niente.

Lei è Sabina; vi auguro di trovarvela di fronte ovunque, tranne che su un campo da basket – a meno che non sia in squadra con voi

FX non ama pianificare i suoi viaggi, preferisce andare “dove lo porta il vento”, come dice lui. Nel suo bagaglio un biglietto aereo, scarpe sportive, una macchina fotografica e le orecchie attente di un testimone. Anche l’occhio dev’essere sensibile ai segnali se non vuoi perderti un dettaglio, mancare l’appuntamento con la serendipity. Nel settembre 2012 FX è a Parigi, stazione Stalingrado, sta per salire sulla metropolitana che lo porterà a Champ de Mars, un playground di lusso ai piedi della Tour Eiffel. Ma quando vede un ragazzo magro, di colore, che tira a canestro a due passi dalla stazione capisce che quel giorno il biglietto della metro resterà nella sua tasca. Il campetto è una gabbia incastrata tra i palazzi, con avanzi di cartone sull’asfalto e materassi abbandonati agli angoli. FX raggiunge Antèe, questo il suo nome, gli chiede la palla per fare due tiri, ma lui è sordo. Per il resto della mattinata comunicano un po’ con la lingua dei segni, un po’ scrivendo sul cellulare. Antèe viene dal Gabon e gioca in una squadra amatoriale per non udenti, esiste da cento anni lì a Parigi. Quando FX gli chiede il permesso per fargli un servizio fotografico diventa raggiante e sfodera le sue giocate migliori.

Il mondo di United Ballers è a tutti gli effetti unito, libero, senza bandiere né recinzioni. Come quell’unico canestro che campeggia sullo sfondo del deserto del Gobi, in Mongolia, una macchia di cemento in mezzo al nulla. O come gli amici di Zac, ragazzino più alto della media e col culto di Kevin Durant, che accompagna FX tra i paesaggi verticali della multiculturale Hong Kong. Ci sono più playground lì che a Parigi, gli fa notare mentre li visitano uno a uno; linee perfette, tabelloni immacolati, riflettori che funzionano a pieno regime, giocatori di ogni età, provenienza e colore della pelle che si danno battaglia.

Nelle Filippine c’è un canestro di liane intrecciate, appeso al tronco di un albero. In Suriname la giungla invade l’asfalto delle fabbriche abbandonate, s’arrampica sui tabelloni. A Capo Verde si gioca tra quattro mura che assomigliano al cortile di un carcere; ma oltre, se ti affacci con la testa, c’è la vista sul mare. A Berlino, nel campetto dello Youth African American Movement, palleggi tra murales lisergici che sono un’opera d’arte, ma bisogna essere sotto acidi soltanto per inquadrare il tabellone.

Le uniche regole sono quelle del campo, e a volte ci si arrangia e non servono nemmeno quelle. Basta il suono del pallone che balla sul ferro e entra nel canestro, che smuove la retina in cotone o acciaio – quando c’è. Ancora meno: basta un anello, anche sbilenco e attaccato a un palo, basta una sfera che sia di cuoio, di plastica, di carta. Il resto lo fa l’immaginazione e la voglia di giocare. Se ci sforziamo di guardarlo attraverso gli occhi sorridenti dei bambini ritratti da FX, quelli delle periferie dimenticate, il mondo assomiglia davvero a un gigantesco pallone da basket.

FOTO – da United Ballers Facebook
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