“Cos’è questo odore?”

“Quale odore signore?”

“Questo odore, di sporco, di chiuso, di aria viziata”

“Signore, siamo in un giardino”

 

Anno 2002, entrata degli Ardmore Apartments, all’angolo fra Ardmore e la Quinta, le pendici delle colline di Hollywood. Donald se ne sta piantato con le scarpe di cuoio marrone su un prato verde smeraldo alto 4 millimetri, un sigaro spettacolare fra le labbra e la grossa pancia riflessa sulle lenti rotonde degli Oliver Peoples. L’interlocutrice di Donald si chiama Summer Devemport, una delle quattro maggiori manager di Real Estate di tutto il sudovest americano. Gli Ardmore sono l’ennesimo colpo di biliardo immobiliare giocato da Sterling: un colosso da più di 200 appartamenti in una delle aree più high rising di lower Hollywood, un tiro di schioppo da KoreaTown, dove la gente lavora molto e parla poco.

“Lei non lo sente?”

“No, signore”

“Sono i negri, non si lavano, sono sporchi”

“Lo terrò a mente signore”

“E poi i messicani, io li odio i messicani del cazzo: fumano e bevono tutto il giorno e stanno in giro a bighellonare”

“Sissignore”

“Summer, mi faccia un piacere. Quando torno qui la settimana prossima, non voglio vedere negri, ispanici e mocciosi, nel mio edificio, è chiaro?”

Nei lavori di ristrutturazione dell’Ardmore pochi mesi dopo, alla Signora Jones, una donna di colore che non aveva voluto sentire ragioni ed era rimasta, si era casualmente rotta una tubatura. Casualmente, non c’era davvero modo di farla riparare dagli operai e, altrettanto casualmente, nessuno dei vicini volle darle una mano. Fu così, per una serie di fortuite coincidenze, che la Signora Jones si trovò a dovere abbandonare la casa di una vita, morendo al LA General poche settimane dopo.

 

Donald Tokowitz, poi divenuto Donald Sterling, è nato a Chicago nel 1934, da genitori Ebrei presto trasferitisi a Los Angeles. Dopo avere frequentato l’High School ed avere conseguito la laurea in giurisprudenza, il giovane Donald divenne ben presto un avvocato divorzista di buon successo. Allontanato in principio da diversi studi prestigiosi per le sue origini ebree, Tokowitz aveva però ben chiara quella che sarebbe stata la sua traiettoria sociale. Per quattro o cinque anni infilò tante cause quante ne riusciva a tenere l’agenda, preoccupandosi poco o niente della fama e del candore dei suoi clienti quanto piuttosto della grassezza del loro portafogli e con il ricavato acquistò per un tozzo di pane un piccolo complesso di 26 appartamenti a Beverly Hills, quando ancora Beverly Hills era solo uno sgangherato avamposto di petrolieri e coltivatori di fagioli. L’impero era cominciato e il cognome Tokowitz, che puzzava di ebreo lontano un miglio, venne cambiato in Sterling. La costa Ovest aveva trovato il suo Donald: se ad Est c’era Trump, a Ovest c’era Sterling.

 

Da qualche giorno, Sterling (ora proprietario dei Los Angeles Clippers) è uno degli uomini più chiacchierati del pianeta a causa dell’ormai celeberrima telefonata con la fidanzata, V. Stiviano, in cui la giovane viene invitata in maniera poco prosaica a non farsi vedere nè fotografare con uomini di colore, anche se gli uomini di colore si chiamano Magic Johnson.

 

Sterling, un uomo da 1,9 Miliardi di Dollari stimati da Forbes, è ad oggi il più grande proprietario immobiliare di tutta la California del Sud, con più di 500 proprietà da Malibu a Hollywood, da Downtown a Santa Monica. Los Angeles è sua, non nel senso del potere o della autorità, ma nel senso del mattone, fisico e tangibile. Quindi, chiariamo subito una cosa: mentre il mondo parla della sua orrenda, disgustosa uscita telefonica, a Donald non gliene frega proprio un bel niente del basket, delle minoranze e della comunità.

L’America, però, pare essersi svegliata oggi, all’ennesima bravata, solo oggi che l’NBA gli ha imposto di vendere la squadra, lo ha bandito da qualsiasi competizione cestistica in America e gli ha rifilato 2,5 Milioni di dollari di multa, la più alta mai assegnata da un’organizzazione sportiva. Donald se la ride, la lista si allunga, quisquilie. Nel 2009, la Corte di Los Angeles chiese a Sterling 2,75 Milioni di dollari per accuse razziali rivolte ad alcuni inquilini delle sue proprietà, nel 1996 venne accusato di Sexual Harrassment da una delle hostess dei Clippers, nel 1990 il New York Times scoprì un giro d’affari legato alla prostituzione le cui fila erano tirate dalla Donald T. Sterling foundation, si potrebbe andare avanti.

 

Una delle più incredibili: nel giugno del 1999, Sterling si presenta in un laboratorio di analisi con una prostituta conosciuta al compleanno di Al Davis qualche sera prima, chiedendo di potere fare il test dell’HIV. Negativo per entrambi. Mentre escono in pieno giorno, un reporter dotato di telecamera domanda al tycoon chi sia la donna; la risposta suona qualcosa come: “Una donna, o meglio un corpo che uso per fare sesso. 500$ a botta, e lei sembra non volere smettere mai”. A casa, la moglie e i tre figli guardano lo schermo. Uno dei figli, Phillip, verrà trovato morto per overdose qualche mese più tardi in una casa di Malibu.

 

Come mai fino ad oggi Sterling fosse ancora in circolazione e fosse proprietario di una franchigia NBA è un mistero che si può coprire solo con l’orrendo intarsio fra soldi, potere e silenzio. Anni fa, in un’intervista televisiva, Danny Manning disse che Sterling gli aveva chiesto di mandare avanti i Clippers come “una piantagione del sud, dove tanti poveri negri lavorano sotto il comando dell’uomo bianco”. L’NBA allora non mosse un passo. erano tempi diversi, certo, in cui non solo i giocatori avevano meno potere ma in cui i media, la stampa, l’opinione pubblica aveva meno potere. Da una settimana il mondo si è ribellato contro Sterling, giustamente ma senza domandarsi come mai nessuno avesse detto nulla nei trenta anni prima.

 

Due conti andrebbero fatti, certamente, anche perchè la punizione , qualche ora dopo la sentenza, non sembra già più così esemplare. Sterling comprò i San Diego Clippers nel 1981 per 12 Milioni di Dollari; ora i Clippers, la prima squadra di LA e una delle più forti della Lega, ne valgono 545. Sterling ora è obbligato a venderli, ma una squadra NBA sopratutto se da playoff non è come un vecchio cappello e qualcuno ora dovrà comprarseli e dare al vecchio Donald quasi seicento milioni di Dollari.

 

Come qualcuno ha già detto, quella telefonata potrebbe essere stato uno dei migliori affari della sua vita.

 

Emanuele Ventuoli

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4 comments

  1. Bell’articolo. Di storie ce ne sono a migliaia e oltre a razzismo, sessismo, egomania (avete mai visto gli annunci pubblicitari con il suo faccione a tutta pagina sui giornali di los angeles?) si potrebbe chiamare in causa anche la proverbiale tirchieria che per decenni ha portato i Clippers a essere la franchigia più ridicola e ridicolizzata di tutti gli sport professionistici USA. Solo una segnalazione: non si trattava di Danny Manning ma di Elgin Baylor.

    1. Beh , viste le condizioni in cui sono ridotti i Lakers , anch’io potrei iniziare a pensare che i Clippers siano la miglior franchigia di Los Angeles

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