“Sharia! Shaya! Kobe! Venite! Sedetevi, abbiamo una notizia da darvi. Papà ha appena firmato un nuovo contratto, la prossima stagione giocherà in A1. Dobbiamo trasferirci.”
I tre figli di Joe e Pamela Bryant non sono più bimbi piccoli, si guardano per un attimo con un velo di tristezza, li aspetta un altro trasloco, una nuova città, nuove scuole, nuovi amici. Un’altra cittadina italiana, dopo Rieti, Reggio Calabria e Pistoia, diventerà la loro casa per almeno un paio d’anni.
“Ok, ma dove andiamo?” chiedono in coro.
“A Reggio Emilia. L’allenatore è americano e si chiama Joe come papà. Ci ha detto che è un bel posto in cui vivere e che la gente è molto simpatica. Siamo sicuri che vi piacerà!”.
Poche settimane più tardi, la famiglia Bryant saluta la Toscana e il piccolo Kobe osserva dal finestrino la magia del paesaggio che cambia. Gli Appennini lasciano il posto ai campi coltivati della Pianura Padana. Sta per compiere 11 anni, ma il regalo più bello lo ha ricevuto qualche anno prima e lo tiene sempre tra le mani: un pallone da basket tutto suo. La nuova città è un po’ più grande di Pistoia ma è ugualmente tranquilla, poco traffico e tanti alberi, i ragazzi girano in bicicletta e gli anziani passeggiano sorridenti. I Bryant si stabiliscono a Montecavolo, in una bella casa bianca con giardino, perchè a Kobe serve uno spazio dove allenarsi. Mentre papà Joe inizia la preparazione con le Cantine Riunite, Pamela si occupa di organizzare la vita dei figli. In primis la scuola e la scelta ricade sulla San Vincenzo, a due passi dal Palasport. Per quanto riguarda la squadra in cui giocherà Kobe invece non ci sono dubbi: entrerà a far parte del gruppo Aquilotti del ’78 della Pallacanestro Reggiana di coach Cagossi.
“Ragazzi! Un po’ di silenzio! Ragazzi, solo un attimo per favore: vi devo presentare qualcuno. Lui è Kobe. Quest’anno giocherà con noi.”
Sensazioni contrastanti iniziano ad aleggiare all’interno di uno spogliatoio che, nonostante la giovanissima età, è già intriso di gerarchie e sfottò.
“Se vale un centesimo di suo papà, Novellara non avrà scampo, quest’anno li stracciamo!”
“Se vale un centesimo di suo papà però ci toglierà spazio…”
Ciao Kobe e benvenuto. Speriamo…
“Ok ragazzi cominciamo a scaldarci!”
Due spanne.
No, almeno tre.
Sopra.
Tutti.
Atletico, coordinato, fluido.
Kobe ha già uno stile da far impallidire buona parte dei giocatori italiani di quel lontano 1989.
Attacca sempre e fa canestro, tanto canestro. Da sotto. Da tre. Di sinistro. Di destro. In coast to coast. Spesso in coast to coast. Ah si, perchè passarla non è che gli piaccia tanto!
Così come non gli piacciono le distrazioni. Finito l’allenamento di squadra, declina gli inviti dei compagni e corre a casa dove continua ad allenarsi da solo, o con papà Joe.
L’NBA è già nel mirino.
Nel frattempo la sesta stagione italiana del funambolo di Philadelphia ha inizio e il pubblico reggiano lo elegge subito Assessore allo Spettacolo. Joe incanta la città a suon di canestri e sorrisi.
Al palazzetto, il pubblico maschile ammira la bellezza esotica di Pamela Bryant, quando precede altezzosa le figlie Shaya e Sharia. Kobe è poco più di un bambino, ma la città è come sempre generosa e lo adotta, rapita dal suo sorriso.
Kobe viene chiamato a rinforzare anche la squadra dei ’77 di coach Cantarella, dove incontra quello che sarà il suo miglior amico italiano, o meglio italo-americano: Christopher Ward, nato e cresciuto in Italia da mamma reggiana e papà di Chicago. Le famiglie dei due si frequentano e Kobe passa tanto tempo con Chris, ovviamente giocando a basket, mentre a scuola sboccia una simpatia per una bella ragazzina mora. Reggio inizia a far breccia nel suo cuore. Se con i suoi pari età dell’annata ’78 Kobe fa praticamente quello che vuole, con i più grandi fatica un po’ di più, perché a quell’età un anno di differenza è tantissimo, specialmente dal punto di vista fisico. Sono questi gli anni in cui la Pallacanestro Reggiana gli insegna i fondamentali e gli permette di vivere esperienze indimenticabili, come i tornei in giro per l’Italia durante i quali i ragazzi soggiornavano in casa della famiglia di un avversario, stimolando spirito di adattamento, apertura mentale, educazione, tutte qualità che lo hanno poi contraddistinto da adulto.
Oltre a Christopher, nella squadra dei ’77 c’è il mitico Marco Morani, a quell’epoca il classico ragazzino già in piena tempesta ormonale che, a differenza dei compagni, ha già le gambe ricoperte di peli e i muscoli ben definiti. La sua superiorità fisica gli permette di segnare fino a 50 punti a partita. Un uomo tra i bambini. Nelle telecronache, il suo nome è spesso legato a un episodio che in realtà pare non sia mai accaduto: nessuno infatti ha mai visto Kobe portargli l’acqua! Per la cronaca, nelle giovanili reggiane, per di più a 11 anni, non era contemplato farsi portare l’acqua da qualcuno che non fosse l’accompagnatore (per di più spesso un genitore). Inoltre, Kobe era molto rispettato nonostante l’anno in meno e nessuno si sarebbe permesso di avanzare richieste assurde.
Questa piccola “bufala” è in buona compagnia: un’altra bellissima è la storia della Professoressa di Educazione Fisica che gli avrebbe consigliato di cambiare sport. Kobe a 11 anni era già un fenomeno dal punto di vista tecnico, con un fisico ovviamente in evoluzione data la giovane età ma pur sempre figlio di un 2.06 e di una donna altissima. Difficile credere che a qualcuno sano di mente potesse venire in mente di consigliargli un altro sport!
È verissima invece la crisi di pianto in cui precipita quando si fece male a un ginocchio. Nulla di grave, ma il piccolo Kobe scoppia in lacrime nello spogliatoio e il capitano prova a consolarlo. Lui lo manda a quel paese urlando che quell’infortunio potrebbe compromettere il suo approdo in NBA. I compagni restano di sasso, ammutoliti. Si guardano e infine scoppiano in una fragorosa risata. Sanno quanto sia forte, ma ha solo 11 anni e l’NBA vuol dire Michael Jordan, Magic Johnson e Larry Bird, con i Pistons campioni.
C’era poco da ridere: 6 anni dopo Kobe avrebbe avvicendato proprio il 32 gialloviola come “uomo franchigia” dei Lakers.
Vincendo anche lui 5 anelli NBA ma superandolo in termini di record e premi individuali, entrando di prepotenza nell’Olimpo del basket.
In quegli anni, come già accennato, l’acerrimo nemico dei piccoli reggiani è Novellara, un paese nel cuore della pianura di grande tradizione cestistica e fucina di tanti talenti: dall’ex capitano della Scavolini Pesaro vincitrice della Coppa delle Coppe 1983 Amos Benevelli a Giorgio Cattini, il vice-Marzorati che vinse tutto con la maglia di Cantù, fino all’indimenticabile bomber Claudio Malagoli, grande realizzatore prematuramente scomparso. Le finali dei campionati giovanili si disputano in Piazza della Vittoria, lo spazio più ampio nel centro città in cui viene allestito un campo ad hoc e tante persone accorrono per vedere la fase finale. Le sfide contro i cugini novellaresi terminavano sempre punto a punto, a volte anche dopo i supplementari. Nella Finale che vede Kobe scendere in campo le cose vanno diversamente: l’inizio è traumatico, un compagno, tradito dall’emozione della finale, alla prima azione della partita prende palla, si invola tutto solo verso il canestro e insacca indisturbato. Solo dopo aver visto le facce impietrite dei compagni capìsce di averla fatta grossa. Dopo quel canestro infatti, il tabellone indica Reggio – Novellara 0-2. In una parola: autocanestro! Poco male comunque, perché dopo pochi secondi tutti capiscono che la piccola stella americana non farà prigionieri. Il contesto è più stimolante del solito e la sua voglia di mettersi in mostra inversamente proporzionale a quella di passare la palla. 20 punti in metà gara, perché le regole del tempo non permettono di lasciare in campo un giocatore per troppo tempo. Papà Joe è al tavolo come accompagnatore della squadra, l’atmosfera è davvero magica per i piccoli cestisti. Grazie alla sua performance, la temibile Novellara, per una volta, viene superata agevolmente.
Il trionfo viene vissuto dai compagni come una vittoria a metà, perché la partita, con lui in campo, non è stata Reggio-Novellara ma Kobe-Novellara. Lo strapotere tecnico e la capacità di calamitare su di sè ogni attenzione, anche a discapito dei compagni, lo hanno accompagnato durante tutta la carriera, quando le Finals non erano tanto Lakers-Nets o Lakers-Magic, ma piuttosto Kobe-Nets o Kobe-Magic.
Nel maggio 1991, alla fine del contratto di papà Joe, così com’era arrivato, Kobe se ne va, facendo ritorno negli USA dopo una brevissima parentesi in Francia.
La nostalgia di Reggio e qualche problema di ambientamento hanno un’unica medicina: il basket. Si allena di continuo e inizia a migliorare esponenzialmente. Internet non si è ancora diffuso, tra Europa e USA c’è davvero un oceano di mezzo e le notizie arrivano con il contagocce: Kobe sta dominando nelle high school, Kobe è il miglior giovane degli USA. Poi un giorno arriva la bomba: Kobe, senza passare dal College, giocherà in NBA. E non in una squadra qualsiasi!
La leggenda era appena iniziata…
a cura di Davide Giudici
una splendida testimonianza.. #grazieKobe
una splendida testimonianza.. #grazieKobe
Grazie Davide e #grazieKobe 😉
Grazie Davide e #grazieKobe 😉
Grazie Davide e #grazieKobe 😉
Gran bel racconto Davide!!!
Gran bel racconto Davide!!!
Gran bel racconto Davide!!!
Vh Niccio sl'era out !
se non ricordo male, io vidi Kobe nel palas di san benedetto del tronto nel 1985 circa. suo padre giocava con rieti (a2) ed era li per una partita contro la Sangiorgese che non aveva ancora il palazzetto. Lui era a bordo campo e palleggiava…. era piccolissimo!
Pelle d'oca, grazie campione!!
Pelle d'oca..
Mi pareva che la storia della prof di ed fisica ce l avesse raccontata proprio Chris. Bellissimo articolo Davide. Chissa' che orgoglio per voi che avete condiviso l'infanzia con Kobe 😉
Davvero un bel ricordo Davide!