Anche se la sfida tra Golden State Warriors ed Oklahoma City Thunder dello scorso gennaio passerà alla
storia per aver annoverato al proprio interno una delle infrazioni di passi più clamorose ed eclatanti della
storia della Lega a stelle e strisce…

“I guess the limit is 6” il commento divertito di Steph Curry in conferenza stampa sull’episodio

… il tema principale della serata è stato ovviamente uno ed uno solo: l’ulteriore capitolo della travagliata
storia di Kevin Durant e Russell Westbrook.

Ho avuto la possibilità di osservarlo davvero da vicino (come per ‘Inside Warriors-Cavs’) e, dopo aver
ripercorso assieme l’evolversi della relazione dei due, voglio condividere con voi l’atmosfera da tunnel, da
spogliatoio, da parquet e cosa ne ho potuto carpire.

Flames to dust…

Andiamo per ordine:

come si passa dal difendere a spada tratta colui che all’epoca pareva essere il proprio “fratello adottivo” in
risposta alle frecciate ed esternazioni dell’eclettico proprietario della franchigia avversaria (video intero qui)

“Were you aware of Mark Cuban’s comments before the game when he said: ‘Kevin was the only superstar in this team’ and how do you react to that?” è la domanda rivolta a Russell

al non rivolgersi più la parola (principalmente per volere di Russ), sostenere di non esser mai stati legati più
di un tot (“niente più che colleghi”, stando alle dichiarazioni di KD) e persino ritenere sbagliato che un
proprio compagno osi scambiare due parole con il comune ex-team-mate.

“Don’t say ‘what’s up’ to that bitch ass n*#%&” il commento al vetriolo di Russell a Kanter reo di essersi rivolto a KD

(sempre Westbrook, in questa partita – video intero qui)?

La risposta, in realtà, sembrerebbe essere semplice:

andarsene dalla squadra in cui si è militato assieme nelle ultime 8 stagioni comunicando la propria
decisione via sms quando la notizia è ormai già di dominio pubblico, senza aver dato alcun segnale delle
proprie intenzioni agli ormai ex-compagni negli ultimi incontri di persona, potrebbe avere qualcosa a che
fare con la situazione attuale.

Russell infatti almeno una telefonata la riteneva d’obbligo e, stando agli standard (es: l’apposita cena
privata in cui LeBron ha informato Wade e Bosh della sua intenzione di tornare a Cleveland) ed alle reazioni
di tutto l’ambiente, con l’aggravante dei trascorsi insieme e l’essersi esplicitamente esposto sul tema
free-agency proprio per mandare segnali al “compagno di una vita”, torto non ne ha.

Le cose, però, potrebbero essere un po’ più complesse di così: se davvero lo conoscevano così bene,
possibile che nessuno dei suoi compagni avrebbe potuto immaginare un comportamento tale da parte del
numero 35? Possibile che il “no news is good news” col quale si sono voluti a tutti i costi interpretare gli
ultimi incontri sia stato troppo forzato e soprattutto affatto adatti al personaggio ed al suo carattere?

Volendo tentare di interpretare il comportamento di Durant – precisando immediatamente come queste
siano pure soggettive, spicciole e semplicistiche speculazioni – l’impressione è che, per qualcuno come lui,
con quel tipo di carattere e di attitude, sarebbe stato davvero difficile vuotare il sacco faccia a faccia con i
compagni di così tante battaglie, relativamente ad una decisione realisticamente maturata del tutto nel
momento in cui LeBron celebrava la sua impresa in rimonta privando i Warriors del back-to-back. Forse,
dal suo punto di vista, non avrebbero capito. Quale il vantaggio nell’affrontare momenti dolorosi, per loro ma
anche e soprattutto per lui, dinanzi all’ineluttabilità di una decisione già presa ed irrevocabile?

Anyway, cosa abbia pensato e perché abbia deciso di agire così ovviamente lo sa solo lui, il diretto
interessato (che nei giorni successivi all’annuncio parrebbe essersi barricato in casa, temendo
rappresaglie). Sta di fatto che, come tutti voi saprete, il numero 0 non l’ha presa benissimo, dando vita a
una lunga serie di frecciate, iniziate in estate e giunte fino all’ultimo incontro da avversari.

Cupcakes & much more…

La prima in assoluto porta la data del 4 di Luglio, il giorno della ‘decision’: stando a fonti vicine allo
spogliatoio dei tuoni, il post su Instragram all’apparenza innocuo di Russell è un messaggio in codice ben
preciso.

Introdotto da Kendrick Perkins, il termine “cupcake” è entrato di prepotenza nel gergo Thunder, usato
in ogni allenamento e/o partita per riferirsi all’essere soft, molli. Sebbene quelli qui sopra sembrerebbero
essere semplici auguri per la Festa dell’Indipendenza ai propri sostenitori, addetti ai lavori spergiurano che il
destinatario sia solo ed esclusivamente colui che, invece di restare e tentare di riscattare sul campo la
cocente sconfitta in gara 7 delle finali di conference, ha deciso di unirsi ai più forti.

Proprio le reazioni immediatamente successive alla conclusione di quella estenuante serie furono
emblematiche delle differenze caratteriali tra Kevin e Russell & co (il primo da solo, con
indosso ancora la divisa da gara, a passeggiare freneticamente su e giù senza darsi pace nell’area
antistante agli spogliatoi, gli altri con i propri cari e cerchie estese a far gruppo e cercare di darsi conforto a
vicenda). Come accennato poco sopra, qualcosa era già nell’aria?

Dato il risalto mediatico per la storia (l’interesse per l’NBA andrà mantenuto vivo anche durante l’estate, o
no?) ed il successo del post con i cupcakes, Westbrook si è davvero impegnato a produrre contenuti che
potessero sempre far pensare a sottili e velate frecciate al “traditore”, come ad esempio questo video
twittato ad Agosto in cui si ritrae cantando entusiasticamente “Now I Do What I Want”.

Questa “caccia al sottointeso” si è fatta talmente grande da essere un’occasione troppo grande da farsi
sfuggire persino per la Nike (che si avvale di entrambi i protagonisti di questa storia come propri
testimonials), che cavalcando quest’onda ha messo in saccoccia più di 6 milioni di visualizzazioni per
questa pubblicità:

https://www.youtube.com/watch?v=9J75J2CYjzs

[“Some run, some make runways”]

KD, notoriamente introverso e non smanioso di attenzioni mediatiche, dinanzi a cotanto ardore, non si è
potuto esimere dal dare un paio di contro-stoccate.

Probabilmente a causa anche dell’hype per l’avvicinarsi del primo scontro sul campo, prima
dell’inizio della stagione (ad Ottobre), il neo-numero 35 dei Guerrieri della Baia ha rilasciato un paio di
dichiarazioni che sono risultate essere non gradite in casa Thunder e, più nello specifico, negli Westbrook
HQ.

La prima, più diretta, è relativa al suo vero rapporto con Russell: “la verità è che non eravamo davvero
vicini […], nulla più di ‘work friends’ […] nelle trasferte non trascorrevamo tempo assieme, lui aveva la sua
cerchia, io la mia […] non c’è nulla di male ma è così”

La seconda, più indiretta ma al contempo più tagliente, è relativa al motivo della sua scelta ed al suo
ambientamento nei Golden State Warriors:

It felt like it was a perfect fit. It was something I was searching for when I sat down and talked to these guys.
I wanted to see if what I’ve heard and what I’ve seen on the outside is really true. Do these guys really genuinely
love each other? They work together. You hear family a lot. That’s just a word sometimes, but this is really a lifestyle here. You can feel it when you walk in the door, in the practice facility, everybody is just together. That’s something that I can appreciate as a basketball player and someone who values relationships. You can tell that that’s what they stand on, that’s what we stand on. I feel really grateful to play for a team like that and play with a bunch of players who are selfless and enjoy the game in its purest form. They make it about the players, they make it about the environment, so it was really an easy choice.

Spiccano dei passaggi chiave: famiglia, siamo tutti insieme, sono tutti altruisti e capaci di godersi il gioco in
maniera disinteressata, nella sua forma più pura…

Laconica la risposta di Westbrook, immediatamente stuzzicato dai cronisti a riguardo a margine di una
seduta di allenamento durante il training camp:

That’s cute. My job is to worry about what’s going on here, we’re going to worry about all the selfish guys
we’ve got over here, apparently.”,

(“Che carino. Il mio lavoro è di preoccuparmi di ciò che succede qui, ci preoccuperemo di tutti quegli egoisti che
apparentemente abbiamo qui.”)

farcita con la richiesta di non ricevere più domande a riguardo, dal momento che non c’è tempo da perdere
e che prima di quanto si possa realizzare ci sarà il primo in(s)contro sul campo.

Il culmine, dal punto di vista del botta e risposta, lo si raggiunge proprio in quella occasione: è il 4 di
Novembre e Russell si presenta così:

Russell being Russell? Not really. Not only, at least. Nonostante la sua dichiarazione ufficiale (“ho preso
questa pettorina a Madrid” – in occasione degli NBA Global Games – “e mi è parso un pezzo unico ed
originale da aggiungere alla mia collezione di moda”),  questo a dir poco peculiare outfit è un chiaro
riferimento alla “carriera” da fotografo di Durant, che non ha mai nascosto la passione per questo interesse (qui il suo pezzo per Players Tribune).


Sul campo, in tutta risposta, quest’ultimo ha avuto la meglio: 122 a 96, partita senza storia e 39 punti a
referto. La loro, di storia, l’abbiamo ripercorsa capitolo per capitolo. Andiamo ora a vedere da vicino
come è andato questo secondo incontro.

A close look (a.k.a. pre-game)

Per non perdermi un singolo istante del pre-partita (nota: anche stavolta non ho beccato il posto assegnato
in arena, ma fortunatamente sono riuscito a trovare un tagliando per evitare di vederla nuovamente davanti
un monitor e dentro al palazzo), sono arrivato “prestino”.

Nel pre-partita, visto il precedente della pettorina, c’è grande attesa per l’arrivo della squadra ospite.
Come di consueto, la squadra è suddivisa in due pullman, ed il nostro si trova a bordo del secondo.

Mentre sono piazzato davanti al metal detector (sì, anche giocatori e staff devono passare questo
controllo per poter entrare all’arena), nell’ingannare l’attesa, ho modo di assistere da spettatore privilegiato
alle ultime prove delle cheerleaders prima dell’esibizione serale. Non male.

Finalmente Russell arriva: jeans strappati, felpa giallo fosforescente, cappellino bianco e cuffiette nelle
orecchie. Saluta come se fosse un amico di vecchia data un funzionario della Oracle e si dirige poi a passo
svelto verso gli spogliatoi, il tutto mentre canta a volume sopra la media.

L’arrivo di RW

Westbrook e Durant, visti da vicino e prima della palla a due, non potrebbero avere comportamenti
ed atteggiamenti più distanti l’uno dall’altro.

Visto da così vicino, fa davvero una qual certa impressione

Westbrook non sta zitto un attimo, è umorale (un attimo sorride, quello dopo imbruttisce, il tutto con quegli
occhi spiritati di chi non vede l’ora di lanciarsi in transizione e schiacciare ad otto mani…) e costantemente
in movimento.

Quando aspetta di entrare in campo in occasione della presentazione ufficiale delle squadre, palleggia
freneticamente, ride e quasi parla da solo. All’improvviso si accorge della mia presenza e, mentre ride tra sè
e sè, fa: “I see you! I see you!”. Mi gasa.

Quel sorriso che dice tutto… “I see you! I see you!”

Durant, d’altro canto, non spiccica una parola. Si fa tutto il warm-up con le sue cuffie Beats bianche sulle
orecchie, senza interagire con nessuno. Si guarda intorno circospetto e – se non lo si conoscesse sul
campo – sarebbe quasi da definirlo “intimidito”.

Durant si riscalda… Nel suo mondo.

I due, come ovvio e largamente preannunciato, non si parlano e non si saluteranno.

Contrariamente al primo episodio di questa saga (nel Novembre 2016 e quando la ferita era ancora
davvero fresca), però, quando sta per scomparire nella cappotta che lo dirigerà al tunnel per gli spogliatoi,
KD esita un attimo. Si può davvero intuire come sia titubante, rifletta tra sé e sé ed alla fine si faccia
coraggio. Invece di andare a testa china nel locker room, torna indietro e si avvicina alla panchina dei
Tuoni. Saluta lo staff, sorride – un effort non da poco, che viene apprezzato. Tutto sommato, con loro, se la
è sentita di fare il primo passo. Il tutto dura poco però, davvero pochi istanti.

Si possono rischiare incontri problematici e soprattutto è di nuovo il momento della concentrazione e
dell’isolamento. Tra non molto c’è la palla a due, e non è una palla a due “normale”.

Actions (a.k.a. game-time)

Contrariamente alle aspettative di molti, la partita c’è stata e la si è potuta considerare tale fino a terzo
quarto inoltrato.

Come fatto in occasione della super-sfida con i Cavaliers, soprassiederò sulla pedante cronaca, dal
momento che il match – o gli highlights, nella peggiore delle ipotesi – li avete visti tutti.

Oltre alla celeberrima passeggiata di Russell mostrata già in apertura, c’è Il flagrant foul di Zaza Pachulia
(in conferenza stampa unanimamente etichettato come un normale fallo da condire con un tecnico),
“imbruttita” inclusa (nota: nello spogliatoio, Russell non ci ha pensato due volte a segnalare come si rifarà
con gli interessi nella prossima occasione utile) ed una schiacciata di una violenza inaudita da parte del
#0:

Dopo aver inchiodato, facendo tremare tutto ma proprio tutto (con tanto di “oooouuuuuu” all’unisono dei
tifosi Warriors), il buon RW ha pensato bene di apostrofare l’avversario, con un:

“DON’T JUMP, KD!”.

Non che a Durant sia fregato qualcosa: prestazione monstre la sua, cruciale per portarsi a casa la vittoria,
vanificando la canonica tripla doppia del rivale (27+15+13).

Reactions (a.k.a. post-game)

Alla fine il ‘tanto a poco’ c’è stato, come nella precedente occasione. Le modalità in cui si è giunti a tale
risultato, però, sono state molto diverse. E’ stata partita vera. Se mi passate l’espressione, il match non è
del tutto finito: specialmente in un’occasione così, si continua in sala stampa.

Ho il privilegio di sedere in prima fila, centrale (dopo l’esperienza Cavs ho saputo regolarmi meglio e…
sgomitare). Dopo Kerr e Curry, è il turno del grande atteso: il protagonista indiscusso della serata, che con
una sontuosa prestazione (il suo coach ha appena menzionato come per impatto, pulizia di gioco ed
efficacia da ambo i lati del campo teoricamente KD dovrebbe essere sulla bocca di tutti come principale
candidato all’award di MVP della regular season…) ha portato a casa la W.

Sono così vicino da poter captare la sua reazione a denti stretti nel prendere postazione davanti al
capannello di giornalisti: vedendone così tanti, e prevedendo l’ennesima sfilza di domande su Russell e
sulle – reali o presunte tali – schermaglie coi Thunder, il nostro sbuffa e si lascia scappare un impercettibile
Oh shit….

Via al fuoco di fila delle domande: il fallo di Zaza era davvero un flagrant? E’ vero che è stata una molla per
voi? Come mai proprio stasera hai preso così tanti tiri e tante più responsabilità rispetto al solito? Cosa è
successo dopo la violenta inchiodata di Westbrook? Cosa vi siete detti? C’è stato trash-talking? E chi più ne
ha più ne metta.

Durant è composto. Succinto il giusto, allude ad un sempre maggiore affiatamento coi compagni – coi quali
ci tiene a condividere il merito della vittoria – e spiega come abbia imparato a muoversi sempre meglio
senza palla. Poche attenzioni per Russell, ma una emblematica risposta:

Cosa è successo in occasione della schiacciata di Westbrook? Semplice. Ciò che è successo è che ho
chiesto palla, sono andato nell’altra metà campo e ho messo una bomba. Questo è successo.
Nient’altro. Prossima domanda”.

Per ciò che concerne trash-talking e tutto il resto, glissa – riporta sempre tutti con i piedi per terra: calma
ragazzi, è solo una partita di pallacanestro. That’s it.

A parlare è il campo: 40 punti, 13 su 16 dal campo, 71.4% da 3 punti, 12 rimbalzi, 4 assist, 3 stoppate a
fronte di 2 sole palle perse, disarmante efficacia e la faccia giusta.

La partita la sente, ed il suo modo di rispondere è e sarà sempre questo: tramite il “foglio rosa”.

La prossima volta, dopo due scampagnate casalinghe da 20+ di scarto, affrontare il suo nemico/amico sarà
meno facile. Perché? Per farlo, dovrà tornare in quella che per un lungo periodo della sua vita è stata la sua
casa, ed essere accolto dal resto di quelli che si sono sentiti traditi.

Make history…

Se per raggiungere la Oracle Arena si prende la Bart, giunti alla stazione si può notare questo grande
cartellone pubblicitario che sembra essere abbastanza emblematico se si pensa a quanto descritto finora.


Nonostante KD, pur tentando con tutte le proprie forze di dissimulare e far apparire il contrario, pagherebbe
di tasca propria per poter mettere definitivamente a tacere l’argomento e buttarsi questa intera storia alle
spalle, l’impressione è che queste scene si ripeteranno ancora a lungo, ogni qualvolta i due protagonisti si
ritroveranno a calcare il medesimo parquet…

A tal proposito: quanti di voi hanno realizzato che all’All Star Game i due saranno – almeno in teoria – dalla
stessa parte? Il numero 0, che si è visto relegato in panchina nonostante la sua mostruosa stagione da
Triple double machine, arriverà all’evento da back-to-back MVP delle due passate edizioni e suggerirei di
tenerlo sott’occhio.

Come detto, numerosi saranno gli ulteriori capitoli di questa saga e noi saremo lì ad aspettarli.

Voi come la pensate? Da che parte state?

Io un’idea me la sono fatta, ma non è questo il punto.

Avendo un’occasione così ghiotta, non potevo di certo esimermi dal fare una mattata.“Make history” si
diceva, no? Nel modo sobrio e mai sopra le righe che ci distingue, ho provato a tornare a casa con una
dedica per tutti voi.

Ottenere un’occhiataccia da Russell Westbrook (la famigerata ‘Westbrook’s stare’)?

Fatto.

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About Author

Valerio D'Angelo

Ingegnere romano malato di palla a spicchi. Lavoro a WhatsApp (ex-Google, ex-Snap, ex-Facebook) e vivo a Dublino, in una nazione senza basket, dal 2011. Per rimediare ho scritto il libro "Basket: I Feel This Game", prefazione del Baso. Ho giocato a calcetto con Pippen e Poz, ho segnato su assist di Manu Ginobili, ho parlato in italiano con Kobe in diretta in una radio americana e mi e' stato chiesto un autografo a Madrid pensando fossi Sergio Rodriguez.

1 comment

  1. Bellissimo articolo.

    Mi permetto di fare un solo appunto. Nella prima parte parli della reazione di RW tenendo conto solo della parte professionale del tutto e no di quella umana. KD è testimone di nozze di RW. Il che fa pensare che non è assolutamente vero quello che dice Durant sulla tipologia del loro rapporto. E lo confermano sia le interviste rilasciate da Harden sia le sue prole nei confronti di RW nella conferenza stampa per l’MVP.
    Se vengo a sapere a mezzo stampa che il mio testimone, nonché compagno di squadra, ha deciso di lasciare la barca, come minimo non gli rivolgo più la parola.
    Se vogliamo parlare solo dal punto di vista sportivo è un conto ma dal punto di vista umano KD non merita niente.
    Tutta la vita con RW.

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